Il punto su…
La drepanocitosi
La drepanocitosi, chiamata anche anemia a cellule falciformi, è una delle malattie genetiche più comuni al mondo, che colpisce le popolazioni di origine africana. Le manifestazioni cliniche della drepanocitosi variano da persona a persona e includono: anemia, crisi dolorose, infezioni e trombosi. La mortalità in Africa è molto alta ma nei paesi sviluppati, grazie all’implementazione di nuovi trattamenti preventivi e terapeutici, la sopravvivenza dei bambini affetti da tale malattia è migliorata. L’unico trattamento curativo per la drepanocitosi è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, con una guarigione del 90%. Altri approcci terapeutici sono in fase di sviluppo come nuovi farmaci modificanti la malattia (glutammina, Voxelotor, Crizanlizumab), ma soprattutto la terapia genica (utilizzando un vettore lentivirale) e i nuovi strumenti di modifica del genoma (CRISPR-Cas9). Le nuove sfide per migliorare il futuro dei pazienti affetti da drepanocitosi consistono nello stratificare i pazienti in base al rischio; rivedere le indicazioni per il trapianto e definire il miglior approccio terapeutico per ciascun paziente. L’ultima sfida sarà quella di consentire questi progressi nei Paesi a basso e medio reddito, in cui la prevalenza della malattia è più alta e in cui le strategie innovative sono più necessarie.
COVID-19 e genetica
Diversi studi hanno mostrato differenze nella sensibilità e nella gravità delle manifestazioni cliniche della malattia COVID-19. Queste differenze potrebbero essere correlate a fattori socio-economici, etnici o altri fattori genetici. Ad esempio, in Africa la gravità della presentazione è rimasta relativamente moderata con bassi tassi di mortalità. Sono state avanzate diverse ipotesi per spiegare questa bassa incidenza: capacità di test, densità di popolazione, luce del sole e temperature elevate, età media inferiore a quella dei paesi industrializzati.
Alcuni fattori delle cellule ospiti, rappresentati dal recettore del virus l’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (ACE2), dalla serina proteasi transmembrana 2 (TMPRSS2) e dal gruppo sanguigno ABO, variano tra le popolazioni e potrebbero spiegare perché alcuni sono meno colpiti di altri.
COVID-19 ed ematologia
I pazienti oncologici, e in particolare quelli con neoplasie ematologiche, sono particolarmente a rischio di suscettibilità alle infezioni, inclusa la mortalità derivante dall’infezione con il virus SARS-CoV-2.
La diffusione del COVID-19 ha avuto delle ripercussioni sulla salute dei pazienti affetti da malattie ematologiche dipendenti da trasfusioni di sangue, poiché la pandemia ha avuto un profondo impatto sul numero di donazioni di sangue, sull’approviggionamento e sulla sicurezza del sangue.
Durante l’anno 2020, sono state sviluppate diverse strategie per modificare la produzione e la conservazione dei componenti del sangue per aiutare a prevenire la carenza di sangue. Ad oggi non ci sono prove che il virus si trasmetta attraverso il sangue, d’altra parte il plasma sanguigno contiene anticorpi che possono essere utilizzati per conoscere la prevalenza dell’immunizzazione anti COVID nei donatori di sangue e soprattutto il plasma di donatori puo’ essere usato per scopi terapeutici in pazienti affetti da COVID-19.
I trapianti di sangue di cordone ombelicale ai tempi della pandemia
Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è l’unica cura per molte malattie ematologiche. Il primo trapianto di sangue di cordone ombelicale al mondo è stato eseguito con successo dalla professoressa Eliane Gluckman nel 1988. Questo primo trapianto è stato all’origine della creazione delle banche di sangue di cordone ombelicale che hanno reso possibile la realizzazione di trapianti da cordoni non HLA identici accessibili a tutti, adulti e bambini.
Nel 2020, il numero totale di unità di sangue del cordone ombelicale immagazzinate nelle banche di tutto il mondo è di oltre 800.000 e più di 50.000 pazienti che non avevano un donatore HLA identico hanno potuto essere trapiantati con un cordone non HLA identico con risultati paragonabili a trapianti di midollo osseo HLA identici.
Durante la pandemia di COVID-19, parte della raccolta di trapianti di cellule di cordone ombelicale è diminuita a causa di difficoltà logistiche; d’altra parte, il numero di trapianti di sangue di cordone ombelicale è aumentato a causa delle difficoltà nel raccogliere e trasportare le cellule di midollo osseo. E’ stato durante la pandemia che il sangue del cordone ombelicale ha riscontrato un immenso interesse, infatti queste cellule prese alla nascita sono COVID-free, congelate e messe al sicuro prima della pandemia. Grazie a questa preziosa risorsa, i programmi di trapianto di cellule staminali hanno potuto essere portati avanti senza ritardi.